Verso la fine del XIX secolo la maggior parte degli studiosi era convinta che le leggi fondamentali della fisica fossero state ormai scoperte: tanto che qualcuno, ironicamente, consigliava ai fisici di cambiare mestiere.
In quel tempo, era opinione di molti che le classiche equazioni della meccanica newtoniana potessero descrivere compiutamente ogni moto degli oggetti sia sulla Terra sia nei cieli. Queste equazioni, non solo rappresentavano il punto di partenza per lo studio dei fluidi, delle onde e dei suoni sulla Terra e del moto dei pianeti nello spazio, ma potevano fornire, attraverso la teoria cinetica della materia, una logica meccanica anche ai fenomeni termici.
L'interpretazione teorica dei principali aspetti fisici del mondo macroscopico era poi completata dalle equazioni di Maxwell. Queste equazioni avevano consentito sia di riunire in un'unica teoria i fenomeni elettrici e magnetici, sia di riconoscere la natura elettromagnetica della luce.
Anche quando incominciarono ad arrivare le prime scoperte riguardanti la natura atomica della materia si pensava che pure il mondo microscopico potesse essere descritto correttamente utilizzando opportunamente le teorie elaborate con tanto acume da Newton e da Maxwell. Questa convinzione si dimostrò, però, del tutto errata. I due gruppi di equazioni, infatti, mostravano un contrastante presupposto fondamentale.
Mentre nella meccanica newtoniana ogni mutua potenziale azione si manifesta istantaneamente, qualunque sia la distanza fra i corpi interagenti, nelle equazioni di Maxwell le forze elettromagnetiche si propagano con una "velocità finita", corrispondente a quella della luce. Proprio per questo, fin d'allora, si comprese la necessità di superare questa evidente contraddizione per cercare di elaborare una razionale teoria che potesse riunire sotto una stessa logica i principi della meccanica e dell'elettromagnetismo.
Sono stati, però, i fenomenomi radioattivi evidenziati da Bercquerel, i lavori teorici di Planck e di Einstein, gli esperimenti di Rutherford, Millikan e Bohr, le sconvolgenti idee di de Broglie e di Heisenberg le scoperte che hanno sconvolto la fisica classica.
I tempi erano ormai maturi per accogliere nella storia delle scienze le due, forse, più rivoluzionarie teorie della fisica moderna: la relatività e la meccanica quantistica.
A detta di molti, la difficoltà più saliente nello studio della relatività dipende dal fatto che la sua logica e le sue conseguenze, pur essendo facilmente ricavabili e in linea di principio misurabili, sono spesso in netta contraddizione con l'esperienza di ogni giorno.
Il cosiddeto "senso comune" sta ad indicare, a parte certi elementi istintivi, la facoltà che hanno gli esseri viventi di conservare il ricordo e gli stimoli degli eventi che maggiormente li hanno interessati e di cui sono stati partecipi e sicuramente delle esperienze acquisite nei primi anni vita.
Il senso comune, però, non ci insegna nulla quando un evento è completamente al di fuori della vita quotidiana, quando cioè un fenomeno, pur non essendo concettualmente impossibile, non è stato mai preso in considerazione. Per esempio, cosa avviene e come si vedrebbero le entità reali del nostro mondo viaggiando ad una velocità di 200 000 kilometri al secondo? Si pensi che il mondo molto spesso non si comporta come noi ci aspettiamo che si comporti.
Il principio di relatività classico, detto anche galileiano e talvolta newtoniano afferma che: "Tutti i sistemi di riferimento che si muovono con velocità costante (moto rettilineo uniforme) rispetto a un sistema di riferimento inerziale sono anch'essi inerziali". Poichè nessuno di essi può essere considerato "privilegiato" rispetto agli altri, se si considera due sistemi S e S' in moto rettilineo uniforme fra loro non esiste alcun esperimento, nell'ambito della meccanica, che possa evidenziare quale dei due è fermo e quale è in moto, ovvero se entrambi sono in moto. In altre parole, tutte le leggi della meccanica sono sempre le stesse in tutti i sistemi di riferimento inerziali.
E' ovvio che due osservatori che si trovino in due diversi sistemi di riferimento attribuiscono al punto in cui si realizza uno stesso evento coordinate diverse.
Un osservatore in un sistema di riferimento S assegna al punto, dopo accurate misure, tre cordinate x,y,z. Egli pertanto individua l'arrivo di un ciclista con quattro numeri x, y, z, t che chiama coordinate spazio-temporali.
Un secondo osservatore, solidale col sistema S' in moto rettilineo uniforme rispetto a S, caratterizza lo stesso evento con quattro coordinate spazio-temporali x', y', z', t' diverse dalle precedenti (eccettuati alcuni casi particolari).
Le relazioni fra le coordinate spazio-temporali di uno stesso evento nei due distinti sistemi di riferimento sono note nella loro formulazione classica come trasformazioni galileiane.
Si osservi che nella fisica classica si ammette di poter definire il tempo indipendentemente dal sistema di riferimento, cioè due orologi identici, sincronizzati in un sistema S, sono sempre sincronizzati anche quando uno di essi si muove di moto rettilineo uniforme rispetto all'altro. Perciò le misure del tempo effettuate con i due orologi danno lo stesso valore, cioè t'=t.
Per trovare le relazioni fra le altre coordinate si supponga che inizialmente per t=0 i due sistemi di riferimento Oxyz e O'x'y'z' collegati con i due osservatori coincidano e che dallo stesso istante il sistema O'x'y'z' inizi a traslare con velocità costante v secondo la comune direzione degli assi x e x'.
Quindi, si deducono facilmente le relazioni cercate: x'=x-vt, y'=y, z'=z, alle quali va aggiunta la quarta equazionet'=t. Pertanto le quattro equazioni:
Passando da un sistema a un altro, cioè per effetto delle trasformazioni galileiane, alcune grandezze cambiano, mentre altre restano immutate.
Queste ultime si chiamano invarianti
Sono invarianti, per esempio, la massa di una paricella, l'accelerazione di un corpo e la forza agente su di esso.
Un esempio invece di grandezza che muta per effetto di una trasformazione galileiana è dato dalla velocità.
Dette u e u' le velocità di uno stesso punto materiale in due distinti sistemi di riferimento S e s', dei quali S è in moto con velocità v rispetto a S', sussiste la relazione:
Per effetto di una trasformazione galileiana possono essere invarianti anche alcune leggi fisiche. Per esempiil 2° principio della dinamica nella formulazione classica F=m*a è invariante nel senso che esso, poichè F, m e a non variano, sussiste sia nel sistema S sia in S'. Analogamente sono inarianti il 1° e il 3° principio della dinamica.
Il principio di relatività classica puo essere enunciato dicendo che le leggi della dinamica sono invarianti per effetto di una trasformazione galileiana.
Da un punto di vista etimologico fisica dal latino physica, sostantivo derivato dall'aggettivo greco physikos (naturale), si può definire la scienza che studia i fenomeni naturali, detti appunto fisici, che avvengono nello spazio e nel tempo.
Questi due concetti, assai difficili da esprimere con chiarezza, possono essere considerati, da un cero punto di vista, come due grandezze da utilizzare "per classificare" l'uno gli oggetti, l'altro gli avvenimenti.
Nella fisica classica, lo spazio e il tempo, pur esendo due nozioni completamente diverse, avevano una fondamentale caratteristica in comune.
Considerati entrambi nel "buon tempo antico" entità assolute, chiunque li valutava allo stesso modo e con la stessa logica concettuale. La distanza di un metro e l'intervallo di un secondo misurati da una persona dovevano sempre corrispondere a un metro e a un secondo per ogni operatore.
In realtà, se un fatto è stato considerato nel passato in un certo modo, non è detto che debba essere tale anche nel futuro.
Quando si scoprì che la Terra in luogo di essere piatta era rotonda, il concetto di "su", nel senso di alto, e di "giù", nel senso di basso, potevano anche assumere una realtà relativa.
In concreto in vi è alcuna contraddizione se si tiene conto che il significato etimologico di su e giù non è assoluto, bensì è relativo al luogo dove ci si trova. La distinzione fra l'assoluto e il relativo è condizionata dalle frontiere sempre più avanzate delle conoscenze: ogni opinione, ritenuta anche da lungo tempo valida, può mutare a seguito di qualche nuova scoperta.
In realtà, per quanto possa sembrare paradossale, una misura di lunghezza fatta da un osservatore può risultare diversa da quella fatta sullo stesso oggetto da un altro osservatore in moto rispetto al primo.
Anche un concett apparentemente ovvio e familiare, "la simultaneità", è stato messo in discussione: in contraddizione con il senso comune due eventi che per una persona avvengono nello stesso istante possono non esserlo più per un'altra.
Diciamo fin d'ora che da un punto di vista relativistico le espressioni "prima", "dopo", "contemporaneo", "nello stesso luogo", "la stessa distanza", "lo stesso istante" non hanno per tutti (sistemi, osservatori) sempre lo stesso significato e lo stesso valore assoluto.
Basta considerare che se a Bari sono adesso le ore dodici, a New York, in questo stesso istante, sono le prime ore del mattino; non basta dunque semplicemente affermare, per esempio, che a mezzogiorno è caduta una mela, bisogna anche dire dove è caduta per conoscere effettivamente la stretta connessione spazio-temporale dell'evento.
Ricordata l'invarianza delle leggi della meccanica nei riguardi delle trasformazioni galileiane, nel senso che i fenomeni meccanici devono svolgersi allo stesso modo in tutti i sistemi inerziali, si veda se lo stesso stato di cose accade nei riguardi dei fenomeni elettromagnetici.
Nella seconda metà del XIX secolo, J.C.Maxwell aveva dimostrato come la luce dovesse essere considerata un'onda elettromagnetica la cui velocità di propagazione nello spazio, generalmente indicata con la lettera c, è pari a 3*108 m*s-1.
A questo punto sorse subito il problema di stabilire in quale sistema di riferimento questa velocità presenta proprio il valore previsto dalle equazioni di Maxwell.
Si pensò subito che ciò doveva avvenire solo in un sistema di riferimento completamente a riposo, in quanto si era convinti che le onde elettromagnetiche dovevano avere velocità diverse in sistemi di riferimento in moto relativo tra di loro. Per marcare questo modo di pensare, presunta analogia fra i fenomeni meccanici e quelli elettromagnetici, si consideri questo il seguente significativo duplice esperimento.
Si supponga di trovarsi all'interno di un vagone ferroviario che viaggia alla velocità di 100 km/h e lanciamo in avanti una palla alla velocità di 20 km/h. Se invece di lanciare la palla, accendiamo una lampadina, chiunque, almeno fino alla fine del XIX secolo, assegnerà alla velocità del fascio emesso dalla luce una velocità corrispondente ad un valore pari a c+100 km/h.
Nel 1905 (anno mirabile), Einstein dimostrò che questo presupposto è completamente errato.......